
La Vacca Burlina è uno dei pochi animali allevati in passato che sono riusciti a sopravvivere e a ritrovare una loro degna collocazione nell’ambiente nel quale hanno sempre pascolato. A partire dagli anni trenta del secolo scorso, le Vacche Burline che vivevano al pascolo sulle Prealpi Venete tra il Monte Grappa, l’Altopiano dei Sette Comuni e i Monti Lessini, cominciarono a venir sostituite dalle Brune Alpine, animali che producevano una maggior quantità di latte. Le Vacche Burline dal bel mantello pezzato nero e una sorta di stella bianca in fronte, la cui origine sembra essere nordeuropea, sono attualmente in numero di alcune centinaia, mentre poco meno di un secolo fa sulle montagne del Veneto si contavano almeno quindicimila capi, nonostante che le vicende della prima guerra mondiale ne avessero contratto il numero. Le Vacche Burline durante il ventennio fascista vennero considerate poco fasciste a causa della poca quantità giornaliera di latte prodotto e sarebbero state condannate all’estinzione se non fosse stato per la tenacia di alcuni uomini dell’Altopiano di Asiago, i quali continuarono ad allevarle di nascosto fino a venire imprigionati per questo comportamento eversivo, ma alla fine, come racconta lo scrittore Mario Rigoni Stern, giunti a processo ebbero ragione e la Burlina potette salvarsi pur se contratta di numero. La Fondazione Slow Food ha inserito questo rustico animale delle nostre montagne nella sua Arca del Gusto, allo scopo di preservarne la memoria e l’esistenza, come animale da latte autoctono appartenente alla tradizione del bestiame da pascolo destinato alla produzione di latte e di formaggi.

Alcuni progetti di recupero e valorizzazione di questo interessante animale in grado di adattarsi bene al clima e alle dure condizioni della montagna, hanno visto in questi anni la collaborazione fra Università di Padova, Unione Europea, Regione Veneto, Centro Veneto Formaggi, allevatori e produttori. In seno a tali progetti si è deciso di salvaguardare la Vacca Burlina anche cercando di incrementarne il numero, ma anche di produrre formaggi tipici come il Morlacco ed il Bastardo del Monte Grappa, utilizzando esclusivamente il latte della Burlina. Il latte di questa antica razza bovina è particolarmente adatto alla produzione di formaggi e i pascoli del Monte Grappa hanno una flora assai ricca e varia, motivi grazie ai quali il latte delle Burline è di elevata qualità, anche se questa razza ne produce in minor quantità rispetto ad altre razze bovine. I formaggi Morlacco e Bastardo del Grappa prodotti con latte monorazza di qualità sono il frutto di progetti denominati Burbacco e Bionet, nell’ambito dei quali, come illustra la D.ssa Trainotti nella sua tesi di laurea dal titolo: Valorizzazione della popolazione Burlina e sua caratterizzazione produttiva discussa presso l’Università degli Studi di Padova nell’anno accademico 2015-2016, ci si è agganciati anche a una filiera di produzione controllata e certificata denominata “Frutti di un Territorio”. E’ stato altresì ideato un Manuale di rintracciabilità del formaggio con l’indicazione dei requisiti che questo deve possedere, oltre a un Disciplinare tecnico di produzione da applicare lungo l’intera filiera produttiva.

Il Morlacco o Burlacco del Grappa è un formaggio che deriverebbe il proprio nome dall’antico popolo dei Morlacchi, trasferitisi sul Monte Grappa in età remota partendo dalla sponda opposta dell’Adriatico; essi avrebbero portato con sé il metodo di lavorazione di questo formaggio. Il formaggio Morlacco si produce con latte scremato per affioramento e sembra che in passato il burro così prodotto fosse portato al piano dai pastori Morlacchi del Grappa al fine di realizzare una vendita dello stesso; a questo latte frutto della mungitura serale, viene aggiunto del latte intero munto al mattino. Il Morlacco del Grappa prodotto tra la tarda primavera e la fine dell’estate, viene messo ad asciugare in canestri o ceste che una volta erano fatti di vimini, e dei canestri esso porta esternamente i segni, mentre all’interno rivela una occhiatura media uniforme (per occhiatura si intendono i fori che si evidenziano al taglio) ed un colore bianco oppure giallo paglierino a seconda dei tempi più o meno lunghi di stagionatura. Il Morlacco è comunque un formaggio a pasta tenera che viene consumato già dopo venti giorni di stagionatura e che non viene lasciato a stagionare per più di tre mesi, anche se c’è qualcuno che lo ritiene idoneo all’invecchiamento. Si può gustare con la polenta e le patate lesse, magari con della mostarda, innaffiandolo con vini bianchi che non vadano a coprire la sua intensa aromaticità davvero unica per un formaggio a pasta tenera.

Il Bastardo del Grappa che sembra avere origini più recenti del Morlacco, deve il suo nome forse al fatto che il latte bovino veniva mescolato a quello caprino e ovino, ma oggi è prodotto con latte vaccino semigrasso di mungitura serale a cui si aggiunge il latte intero di prima mungitura del mattino. A differenza del formaggio Morlacco, il Bastardo presenta una pasta semidura e la sua stagionatura può durare fino a dodici mesi, momento in cui la sua pasta diventa friabile; il suo colore è giallo e l’occhiatura non è regolare. Ha un gusto dolce e sapido allo stesso tempo, e naturalmente variabile col progredire della stagionatura. Si consuma come antipasto o secondo piatto insieme alla polenta, ma non è raro trovarlo anche grigliato; si può abbinare a vini bianchi, ma anche a rossi non molto strutturati. Il Morlacco e il Bastardo del Grappa, due formaggi tipici delle Prealpi venete, i quali hanno continuato ad essere prodotti non solo nelle malghe di alpeggio, ma anche industrialmente con latte di razze bovine eterogenee quali Bruna Alpina e Frisona, ma che oggi grazie ai progetti di salvaguardia e incremento della razza Burlina, ritornano ad essere prodotti con latte monorazza di Vacca Burlina andando a infoltire le fila di quei prodotti italiani di qualità che sono stati recuperati, contribuendo a rendere vario e unico il nostro patrimonio enogastronomico.