Il peccato di gola non era certo temuto dal gaudente Ugo Tognazzi che senza misteri, veli e ipocrisie si faceva portabandiera della sua inclinazione ai piaceri della tavola. Anzi era pienamente convinto che il piacere a tavola fosse legato al piacere sessuale e che un incontro fra le lenzuola fosse la naturale continuazione di un ricco incontro a tavola. In una intervista rilasciata a Enzo Biagi, Tognazzi afferma che quando non potrà più fare l’amore gli arriverà il segnale che la fine del suo percorso di vita è vicino; comunque sia l’intervista si conclude con l’osservazione che si è fatta l’ora di pranzo e che del pecorino delle montagne abruzzesi e un buon vino stanno aspettando sia lui che l’intervistatore. Non sapremo mai se quel segnale di cui parlava il Viveur Ugo Tognazzi gli sia mai arrivato come annuncio della sua morte sopraggiunta a soli 68 anni nel 1990, quando ancora era in piena attività professionale; appena un anno prima nel 1989 era uscito il film TOLERANCE, nel quale interpreta il personaggio Marmont, un raffinato esperto di arte culinaria il quale preparando gustosi piatti ai tempi della Rivoluzione francese, vuole convertire ai piaceri della tavola un certo Assuerus, il quale si rivelerà poi un falso asceta.

Trimalcione interpretato da Ugo Tognazzi nel film Satyricon diretto da Gian Luca Polidoro
Tognazzi però non era esperto e sperimentatore di enogastronomia soltanto nella finzione cinematografica, ma anche e soprattutto nella realtà della vita, tanto che nella sua grande casa di Velletri aveva un frigorifero di legno che occupava una intera parete e che, a metà fra la dispensa di un ristorante e un vero magazzino di derrate alimentari, era pieno di quarti di bue, salami, salumi, formaggi. Questa luculliana dispensa refrigerata era per Tognazzi un tempio, una sorta di cappella di famiglia, come egli stesso la definiva, da dove uscivano i sacri ingredienti della succulenta cucina che lui offriva ai parenti e alla sua cerchia di amici fatta di attori e registi. Tognazzi mangiava per vivere, ma non nel senso di nutrirsi, nel senso invece di dare piacere alla vita e di piacere di vita, e naturalmente come fine gastronomo cultore del buon cibo e del buon bere, amava anche la cucina fuori casa, così come era capace di improvvisare una spaghettata tra amici sul momento. La tavola come godimento, come vero sale della vita, declinata sotto ogni aspetto, e quando era lui il protagonista, il nostro Ugo spesso restava in contemplazione davanti al suo originalissimo frigorifero per avere l’ispirazione di un piatto, di una nuova ricetta. Il cuoco Tognazzi, calandosi nella parte, ma spesso liberandosi del rigido copione, quasi come in una sorta di Commedia dell’arte, a volte improvvisava e inventava, e da buon essere umano, a volte sbagliava anche, così come riferiscono attori e registi del calibro di Mario Monicelli, Paolo Villaggio e Lina Wertmuller: pare che una volta abbia proposto persino un improbabile maiale tonnato, ma diciamolo, ai geni si concede tutto.

Ugo Tognazzi a tavola in una scena del film Amici miei atto secondo
Il nostro Ugo, come racconta lo stesso regista bolognese Pupi Avati, era così istrionico in cucina che in occasione della cena organizzata per discutere del copione e della realizzazione del film La mazurka del Barone, della santa e del fico fiorone, preparò un menu che dall’antipasto al dolce era tutto a base di fichi fioroni. I figli di Tognazzi raccontano che loro padre era tutto il giorno in cucina con almeno uno dei suoi tantissimi libri di arte culinaria, ma anche nella finzione cinematografica l’attore lo ritroviamo spesso a tavola oppure nei panni del cuoco, come nel film Il Vizietto. La pellicola però che forse più lo rappresenta nello specchio della finzione cinematografica, è La Grande Abbuffata, dove però l’epilogo è quello della morte per eccesso di cibo, del tutto contrario alla filosofia di vita di Tognazzi, che vedeva il cibo come un piacere della vita e la sua preparazione oltre al consumo era per lui una gioia dell’intelletto e dei sensi. Comunque sia il regista Marco Ferreri ha voluto che Ugo insieme agli altri tre protagonisti (interpretati da Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Philippe Noiret ) stanchi della loro vita piatta si riuniscano in una villa dove cucineranno e si daranno a esagerate libagioni per giorni, fino a morirne; l’ultima fatale abbuffata di Ugo sarà quella fatta con un enorme pasticcio di fegato a forma di panettone preparato con i fegati di tre animali da cortile, il pollo, l’anatra e l’oca.


Tognazzi ha consultato centinaia, forse migliaia di libri di ricette, ma ne ha anche scritti alcuni, nei quali interpreta, reinterpreta, rivede, inventa ex novo piatti con ogni genere di materia prima e di cui io stesso mi sono servito per cercare di emulare il nostro grande genio dei fornelli. Oltre al piatto a base di aragosta, una ricetta a cui sono affezionato è quella degli Gnocchetti di luccio con salsa acetosa, per i quali, non ho mai utilizzato il luccio, ma altri pesci di acqua dolce; spero non me ne voglia il grande Ugo, ma è noto che anch’egli amava sperimentare. Ritornando alla finzione, il cibo, la preparazione del cibo, lo stare seduti a tavola sono stati spesso interpretati dall’attore Tognazzi in chiave comica e grottesca: indimenticabile la scenetta televisiva nella quale, insieme a Raimondo Vianello, mentre impasta con il mattarello, interpreta uno scioglilingua in dialetto toscano. Nel film Sua eccellenza si fermò a mangiare, i pranzi sono il pretesto surreale che dà all’altro interprete principale Totò, che interpreta un improbabile medico di Cavarzere, l’occasione di realizzare il proprio intento.

Nel film L’anatra all’arancia diretto da Luciano Salce, Ugo Tognazzi porta egli stesso in tavola la leccornia, dicendo poi di aver preparato lui stesso questo piatto con aggiunta di piticarmo della Polinesia, una spezia afrodisiaca inventata al momento, che come una sorta di Supercazzola da Amici miei, gli fornisce l’occasione di prendersi gioco di sua moglie interpretata dalla splendida Monica Vitti, e del suo amante francese.

Nell’episodio Hostaria del film I nuovi mostri del 1977 Ugo Tognazzi interpreta un cuoco che comincia a litigare all’interno della cucina con il cameriere interpretato da Vittorio Gassman; nella cucina i due si lanciano addosso ogni sorta di cibo e perfino un polpo finisce sulla testa di Gassman a mo di copricapo, per non parlare del sigaro e della scarpa che vanno dentro la pentola del minestrone, oltre che naturalmente della cucina devastata e completamente imbiancata di farina che va a coprire tutto quanto i due si sono tirati addosso. Alla fine ripulitosi e ricompostosi, il cameriere recuperati sigaro e scarpa dal minestrone, non prima di aver dato un bacetto sulla bocca al cuoco col quale si è riconciliato, esce dalla cucina per servire la cena agli otto commensali che, ignari di tutto, la apprezzano notevolmente.

La prematura scomparsa di Ugo Tognazzi ha creato un vuoto nell’immaginario collettivo degli Italiani, tanto che mi piacerebbe ancora immaginarlo oggi sulla soglia dei cento anni, intento a preparare quella che lui chiamava La cena dei 12 apostoli, anche se oggi non avrebbe più quei dodici amici scelti fra attori e registi: più di uno di loro ha detto che quello era il momento in cui Ugo diventava fragile e un giudizio negativo di un piatto dato da un apostolo poteva metterlo in crisi. In cucina si manifestava la vera natura di quest’uomo innamorato del buon cibo, ma soprattutto della sua preparazione e della sua grande forza conviviale.
